Sono i giudici lettori profondi?

27 agosto 2023

Riflessioni intorno a tecniche di scrittura giuridica al di là dei criteri di sinteticità e chiarezza.

Criteri redazionali, limiti dimensionali e  efficacia degli atti difensivi

Criteri redazionali e limiti dimensionali sono operanti nel processo amministrativo a partire dal 5 giugno 2015, data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto 25 maggio 2015: gli stessi hanno trovato cittadinanza nel processo civile giusto il decreto 7 agosto 2023, n. 110, che si applica «ai procedimenti introdotti dopo il 1° settembre 2023 o dopo la data della sua entrata in vigore, se successiva».

Poco importa, almeno in questa sede, che i criteri del processo civile siano diversi e meno stringenti di quelli del processo amministrativo, così come poco o nulla importa che il decreto 7 agosto 2023 sia ben diverso dallo schema di regolamento trasmesso il 24 maggio 2023 dal Ministro della Giustizia al CNF: evidentemente, il fatto che gli avvocati siano la categoria maggiormente rappresentata in Parlamento ha il suo peso. 

Ciò che rileva, o dovrebbe rilevare, è che chiarezza e sinteticità degli atti giudiziari sono solo una faccia della medaglia, quella, per così dire, di contributo della professione forense allo «spedito svolgimento del giudizio» (Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, Codice del processo amministrativo, All. II, art. 13-ter Criteri per la sinteticità e la chiarezza degli atti di parte).

L'altra faccia della medaglia ha invece per oggetto l'efficacia di un atto redatto nel rispetto dei criteri in questione, quale sia cioè il suo contributo all'esito favorevole del giudizio.

Ora, dato per assodato che l'esito del giudizio può dipendere -  e dipende - anche dalle scelte difensive, non vi è motivo per il quale gli atti non debbano essere redatti in modo che il destinatario - che è il giudice, non il collega di controparte - trovi piacevole la lettura, così mantenendone alta l'attenzione al testo e alle informazioni che esso contiene.

Come leggono i giudici?

A meno che i giudici vengano addestrati a tecniche di lettura diverse dalle persone comuni, cosa che non è, sta di fatto che le neuroscienze cognitiviste ci dicono all'unisono che le forme di lettura si dividono tra superficiali e profonde e che le seconde stanno via via regredendo a favore delle prime.

Il punto è che non sappiamo quali forme di lettura utilizzerà il giudice che leggerà le nostre numerose memorie, così come non sappiamo se utilizzerà una versione cartacea piuttosto che digitale, dove la prima permette al lettore di conservare la sequenza dei dettagli.

Non sapendolo, dovremmo attrezzarci per la peggiore delle ipotesi, organizzando la disposizione del testo in modo da contrastare, per quanto possibile skimming (lettura superficiale), skipping (salto di porzioni di testo) e browsing (scorrimento veloce), tipiche di una lettura a video.

Non ho dubbi che i magistrati, persone dalla formazione complessa e abituati per lavoro ad assimilare informazioni complesse disposte su testi altrettanto complessi, siano lettori profondi, come li definisce Maryanne Wolf in Reader, Come Home: The Reading Brain in a Digital World, ma so anche che i magistrati sono persone come le altre, immerse in un flusso informativo senza pari cui si accede comunque attraverso lo strumento della lettura, esattamente come noi.

Il sovraccarico che ne consegue costringe alla semplificazione, alla elaborazione sempre più veloce e alla assegnazione di priorità nella ricerca di informazioni all'interno del testo, utilizzando la visione periferica per leggere la parola che segue quella che stiamo leggendo, limitando così il movimento degli occhi attraverso un processo per continue fissazioni (l'occhio resta fisso) e saccadi (l’occhio compie movimenti rapidi).

È il motivo per il quale si stima la lunghezza ideale della riga di un testo a stampa contenuta in un massimo di due alfabeti (52 caratteri), ammettendosi tra 45 e i 75 caratteri, spazi inclusi, per il web, comunque inferiori agli 80 delle linee guida per l’accessibilità (WCAG 2.1).

Testi a stampa e testi digitali: c'è differenza.

Non sapendo se il giudice leggerà i nostri atti nella loro versione cartacea piuttosto che in quella digitale, ma soprattutto non sapendo se la lettura sarà profonda piuttosto che superficiale, dovremmo attrezzarci per questa seconda ipotesi caratterizzata da un andamento a zig-zag, dove neppure la lettura come la intendiamo è scontata, come scriveva Jacob Nielsen nel 2013 in Website Reading: It (Sometimes) Does Happen.

Generalmente incominciamo a leggere un testo a video dall'angolo superiore sinistro (dove infatti oggi vengono collocate le X dei menu a tendina delle app), per poi proseguire con uno schema a F o Z per poi individuare rapidamente le ricorrenze più interessanti che, se rinvenute, ci fanno ritornare al dettaglio del testo.

Per evitare che il lettore-giudice pascoli nel testo possiamo organizzarlo in modo da renderlo più attraente per il cervello del lettore? La risposta, ovviamente, è sì.

Diranno i linguisti come la lingua italiana può essere d'aiuto a livello di flusso narrativo: in questa sede mi permetto di indicare alcune soluzioni concrete emerse nei corsi di formazione che ho avuto occasione di tenere con Giovanni Acerboni, spesso a margine dei corsi stessi, discutendo con i colleghi partecipanti.

Ora: è pacifico che i testi giuridici nascono e muoiono, svolta la loro funzione, pensati per la versione cartacea.

Se il legislatore avesse veramente inteso concedere ai legali di operare attraverso testi non necessariamente pensati per la stampa, avrebbe scritto altre regole redazionali: ad esempio consentendo di spezzare il testo in più pagine html (intestazione, fatto, diritto, conclusioni), di inserire le prove agli atti nelle pagine attraverso frame (siano esse documenti, immagini o video), di consentire l'utilizzo di link quantomeno interni al fascicolo di causa (cosa impossibile per il processo amministrativo), piuttosto che di permettere l'utilizzo di formattazioni diverse a seconda che il testo venga stampato o visualizzato su un pc piuttosto che su uno smartphone. 

Così non è: giusto o sbagliato, sta di fatto che i professionisti del diritto scontano le contraddizioni legate alla riproduzione su un medium digitale di un documento pensato per un prodotto frutto del passaggio all'industria tipografica con caratteri mobili risalente al 1455.

Disporre il testo perché venga letto

1) Soggetto, predicato, complemento oggetto

Può sembrare banale, ma scrivere in modo che il lettore-giudice possa rispondere alla domanda ^chi fa cosa^ non è scontato. Può darsi che da questo non cambierà l'esito della procedimento, ma possiamo essere abbastanza sicuri che se la risposta alla domanda richiederà qualche frazione di secondo in più del necessario, l'occhio del lettore proseguirà nel testo alla ricerca di nuove occorrenze.

2) Utilizzare i rientri

Il rientro della prima riga (generalmente riservato alla versione a stampa) serve a segnare visivamente l'inizio di ciascun paragrafo. Il rientro serve a richiamare l'attenzione del lettore che ^vedrà^ lo spazio bianco anche senza leggerlo, attribuendogli il significato che gli è proprio: qui inizia un nuovo contenuto informativo. Per inciso, utilizzare, al suo posto, una certa quantità di spazio verticale come sul web non è ammesso (le specifiche chiedono interlinea di 1,5, senza distinzioni).

Una soluzione alternativa al rientro - utilizzata in molte sentenze - è quella di numerare i paragrafi come se si trattasse di un listato (1, 2, 3 ecc.), eventualmente sub numerandoli (1,1, 1.2, 1.3, ecc.) in ragione del capitolo cui appartengono. Se si utilizza Word, bisogna avere l'accortezza di disattivare la numerazione automatica.

3) Un paragrafo, un'informazione

Come si legge sul sito della Treccani, «Il paragrafo (o capoverso) è innanzitutto una porzione di testo formata da uno o più periodi e isolata da ciò che precede e ciò che segue. All’interno del paragrafo sono raggruppate porzioni di informazione omogenee, perciò il passaggio a un nuovo capoverso (il cosiddetto a capo) implica una pausa molto forte nel testo».

Se un'informazione significativa e autonoma da quella che la precede non è visivamente rappresentata, corre il rischio di non essere percepita come tale. Inserire più informazioni - o informazioni non omogenee - all'interno del medesimo paragrafo o, peggio, del medesimo periodo, non aiuterà.

4) Distribuire il testo in capitoli

Ripartire il testo in capitoli, attribuendo a cascuno di essi la corretta intestazione (titolo 1, titolo 2, titolo 3 in ragione della loro importanza) è una prassi comune per chi scrive per il web, non sempre per chi scrive un documento che immagina cartaceo. I vantaggi sono noti: migliorare la comprensibilità per chi legge, segnare visivamente la gerarchia dei contenuti. Qualsiasi programma di scrittura si appoggia alla regole fissate per scrivere in html, dove i marcatori dei titoli si chiamano headings (h1, h2, h3). Un vantaggio non indifferente - e incredibilmente poco conosciuto - è che marcando correttamente le porzioni di testo possiamo creare un indice sommario in modo automatico, che per di più crea dei collegamenti ipertestuali tra le voci del sommario e i capitoli, che potranno essere contestualmente visualizzati nel menu di sinistra (Spostamento).

5) Utilizzare l'indicativo presente

Il presente del modo indicativo è un tempo verbale usato per presentare un evento come simultaneo rispetto al momento dell’enunciazione (cit.). Quando viene usato in luogo di un tempo del passato per narrare un evento già accaduto, si parla di presente storico. Utilizzare l'indicativo presente in luogo dei tempi del passato (imperfetto, passato prossimo e trapassato prossimo), è una innocente forzatura che ha più di un vantaggio: dà immediatezza alla scrittura, facilita la lettura, conferisce all'enunciato maggiore efficacia espressiva, ma soprattutto - proprio perchè si tratta di un enunciato - non lascia spazio a dubbi, rappresentando un'azione per come si svolge. Ricordatevi che l'indicativo presente è il tempo utilizzato dalle leggi, in particolare dal Codice civile.

6) Marcare le citazioni

Generalmente, quando il testo contiene delle citazioni, queste vengono ^marcate^ facendole precedere da virgolette alte (“ ”) e, spesso, caratterizzandole dall'utilizzo del corsivo. 

Lasciamo pure perdere che quando si tratta di citazioni andrebbero utilizzate la virgolette basse (« »), dato che alle virgolette alte si dovrebbero ricorrere per segnalare l’uso particolare di una parola: la ragione del loro non corretto utilizzo sta nel fatto che MS Word propone le virgolette alte a tastiera, mentre le virgolette basse sono tra i simboli (Inserisci > simbolo).

Consideriamo invece il fatto che MS Word, come qualsiasi altro programma di scrittura, consente di marcare porzioni di testo attribuendo ad ogni porzione una specifica formattazione. Nel caso delle citazioni, ben più elegante e visivamente efficace è marcare le citazioni utilizzando la funzione di editor (Home > citazione), in modo che il testo in questione apparirà distaccato dal flusso informativo della memoria, con una sua formattazione specifica, consentendo al lettore di assimilare l'istruzione per la quale potrà, ogni volta che incontrerà una citazione, proseguire la lettura al termine della citazione senza perdere alcun contenuto informativo, che rimarà comunque visivamente disponibile operando a ritroso senza vagare per il testo alla sua ricerca.

7) Redigere un buon abstract

I criteri redazionali del processo amministrativo (decreto 22 dicembre 2016, art. 4 Esclusioni dai limiti dimensionali) consentono di escludere dal conteggio dei caratteri ammessi:

il riassunto preliminare, di lunghezza non eccedente 4.000 caratteri (corrispondenti a circa 2 pagine nel formato di cui all'art. 8), che sintetizza i motivi dell'atto processuale;

Lo scopo del riassunto preliminare (o abstract) è quindi quello di fornire al lettori una visione d'insieme della memoria, non quella di ribadire per l'ennesima volta che si ha ragione. 

Essendo, per l'appunto, preliminare al testo, è ragionevolmente la prima cosa che il giudice leggerà: un buon abstract non cambierà le sorti del giudizio, ma permetterà al giudice di farsi un'idea di cosa lo attende nella memoria che si appresta a leggere, soprattutto se si tratta di memorie di replica, dove il giudice è interessato a conoscere quale posizione si intende assumere sulle tesi o eccezioni avversarie. Deve quindi essere strutturato, conciso e coerente, per evitare che, come spesso accade, il giudice relatore - se non il presidente stesso - siano costretti a chiedere chiarimenti in udienza, magari al poco informato domiciliatario.

In conclusione

Al netto, come abbiamo detto, delle riflessioni più propriamente linguistiche, abbiamo voluto fornire qualche indicazione concreta perchè gli atti siano più appetibili sotto il profilo visivo, che è quello che guida la lettura non profonda o comunque la prima lettura.

Il che non significa sminuire il linguaggio forense: al contrario, significa portare in un processo da tempo cartolarizzato alcune delle metodiche della retorica, il cui scopo è la persuasione, intesa come approvazione della tesi esposte da parte di uno specifico uditorio.

Che è quello che, quando scriviamo, vorremmo: persuadere il giudice delle nostre ragioni. Può darsi che non ve ne sia bisogno e anzi sarà sicuramente così, grazie alla preparazione dei magistrati, ma se migliorare  l'esposizione visiva del proprio pensiero è possibile non sposti nulla sotto il profilo dell'esito finale, indisporre il lettore attraverso testi che favoriscono - quando non obbligano - una lettura superficiale, è sicuro che bene non faccia.

E comunque, sì: i giudici sono lettori profondi.

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