Abusi edilizi e nullità degli atti: il punto delle Sezioni Unite

29 marzo 2019

Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza n. 8230 del 22 marzo 2019

Componendo il contrasto emerso sulla natura da attribuire alla nullità degli atti giuridici tra vivi aventi ad oggetto immobili abusivi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione precisano che - a fronte della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo - il contratto è valido a prescindere dalla conformità o difformità della costruzione rispetto al titolo menzionato. 

La sanzione della nullità degli atti tra privati nel contrasto all'abusivismo edilizio

È noto che di fronte ad un abuso edilizio l'ordinamento reagisce sotto vari aspetti:

  • dal punto di vista amministrativo, con la sanzione tipica costituita dall'ordine di rimozione o demolizione dell'opera illegittimamente realizzata;
  • dal punto di vista penale, con fattispecie contravvenzionali secondo quanto oggi previsto dall'art. 44 D.P.R. n. 380/2001;
  • dal punto di vista civilistico, con la comminatoria della nullità degli atti tra privati aventi ad oggetto immobili irregolari dal punto di vista urbanistico.

È con la c.d. legge ponte (L n. 765/1967) che viene introdotta per la prima volta, a livello sanzionatorio, la previsione della nullità di atti quale conseguenza di una violazione urbanistica.

L'art. 10 di tale legge modifica l'art. 31 della Legge urbanistica, introducendo al co. 4 la disposizione per cui

Gli atti di compravendita di terreni abusivamente lottizzati a scopo residenziale sono nulli ove da essi non risulti che l'acquirente era a conoscenza della mancanza di una lottizzazione autorizzata.

L'art. 15 co. 7 della L. n. 10/1977 estende tale principio agli atti aventi ad oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione edilizia:

Gli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione sono nulli ove da essi non risulti che l'acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione.

La L. n. 47/1985, emanata al duplice scopo di reprimere l'abusivismo edilizio e di sanare il pregresso, rimodula la nullità degli atti tra vivi relativi ad edifici abusivi dedicando un apposito articolo, il 17, alla disciplina di tale sanzione:

Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l'entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell'art. 13. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.

La medesima disposizione compare anche all'art. 40 co. 2 della medesima legge, con riferimento alle costruzioni realizzate prima dell'entrata in vigore della legge stessa.

In coerenza con gli obbiettivi della legge, scompare la previsione (fatta propria dai precedenti legislativi citati) per cui la nullità non operava laddove fosse risultato che l'acquirente era a conoscenza dell'assenza di titolo edilizio.

La nullità degli atti di trasferimento,da strumento di tutela dell'acquirente, assume un più pregnante rilievo pubblicistico e natura di nullità assoluta nella misura in cui comporta la sostanziale incommerciabilità degli immobili realizzati in assenza di titolo edilizio, coerentemente con il fine di scoraggiare e reprimere l'abusivismo, indipendentemente dalla conoscenza o meno dell'acquirente circa la mancanza del titolo.

L'art. 17 della L. n. 47/1985, abrogato dal testo unico dell'edilizia (D.P.R. n. 380/2001), viene da quest'ultimo riprodotto all'art. 46, che prevede:

Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.

L'ambito di operatività della nullità

La teoria della c.d. nullità formale 

Le disposizioni di cui all'art. 17 della L. n. 47/1985 e all'art. 46 del D.P.R. n. 380/2001 sono originariamente state intese nel senso di ritenere valido l'atto che enunciasse gli estremi del titolo edilizio a prescindere dalla concreta conformità dell'immobile al titolo citato. 

A sostegno di tale interpretazione (c.d. teoria della nullità formale) milita sia la formulazione testuale della norma (di stretta interpretazione: Cass. civ. n. 7534/2004), sia ragioni di coerenza del sistema nel senso che, se si ritenesse nullo l'atto che pure indica gli estremi del titolo ma che ha ad oggetto un immobile sostanzialmente difforme dal titolo medesimo, si dovrebbe analogamente considerare valido l'atto che riguardi beni in regola con le norme urbanistiche ma che non riporti gli estremi del titolo; così risulterebbe vanificato uno degli obbiettivi della disposizione, che non è unicamente la lotta all'abusivismo, ma anche la previsione di uno strumento "che soddisfi anche l'interesse dell'acquirente alla (esatta) conoscenza delle condizioni del bene oggetto del contratto" (Cass. civ. n. 8147/2000).

La teoria della c.d. nullità sostanziale

Accanto alla tesi formale si è però affermato un diverso orientamento secondo cui, a norma delle citate disposizioni di cui alla L. n. 47/1985 e al D.P.R. n. 380/2001, il contratto avente ad oggetto un immobile irregolare dal punto di vista edilizio deve ritenersi affetto da nullità (c.d. sostanziale), indipendentemente dalla corretta menzione degli estremi del titolo edilizio.

A tale conclusione questo orientamento, inaugurato da Cass. civ. n. 23591/2013, giunge sulla base di un argomento teleologico.

Se il fine delle norme che sanciscono la nullità degli atti consiste nel rendere incommerciabili gli immobili abusivi, allora

sarebbe del tutto in contrasto con tale finalità la previsione della nullità degli atti di trasferimento di immobili regolari dal punto di vista urbanistico o per i quali è in corso la pratica per la loro regolarizzazione per motivi meramente formali, consentendo, invece, il valido trasferimento di immobili non regolari, lasciando eventualmente alle parti interessate assumere l'iniziativa sul piano dell'inadempimento contrattuale.

Quanto alla formulazione della norma, che testualmente limita la nullità dell'atto solo in riferimento alla mancata menzione degli estremi del titolo edilizio, si rileva la "non perfetta formulazione della disposizione", che deve comunque essere interpretata nel senso che a monte vi è

il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi.

La decisione delle Sezioni Unite

Essendovi contrasto in seno alla Suprema Corte sulla natura della nullità in questione (a sostegno della tesi della nullità formale vi è la recente sentenza Cass. civ. n. 14804/2017, a sostegno della tesi della nullità sostanziale si citano le sentenze Cass. civ. nn. 28194/2013, n. 25811/2014 e n. 18261/2015) la questione approda infine avanti le Sezioni Unite.

Queste, con la sentenza qui in commento, pur riconoscendo l'"intento commendevole" della tesi c.d. sostanziale, volta a tradurre in massimo grado anche sul piano civilistico il disvalore dell'ordinamento nei confronti dell'abusivismo edilizio, non ritengono di poter avallare tale orientamento.

La sentenza prende le mosse dal dato normativo (art. 46 D.P.R. n. 380/2001 e art. 17 L. n. 47/1985), dal quale si ricava

un medesimo, specifico, precetto: che nell'atto si dia conto della dichiarazione dell'alienante contenente gli elementi identificativi dei menzionati titoli, mentre la sanzione di nullità e l'impossibilità della stipula sono direttamente connesse all'assenza di siffatta dichiarazione (o allegazione, per le ipotesi di cui all'art. 40). Null'altro.

La tesi sostanziale ravvisa nell'ordinamento un principio generale di nullità degli atti aventi ad oggetto immobili urbanisticamente irregolari che in realtà non può desumersi dal contesto normativo, che limita i casi di nullità a specifiche ed inequivocabili ipotesi.

Tali ipotesi devono essere strettamente intese, in ossequio al criterio dell'interpretazione letterale di cui all'art. 12 delle Preleggi.

In secondo luogo, la tesi della nullità sostanziale non persuade nemmeno avendo riguardo al criterio dell'interpretazione teleologica, che non consente all'interprete di modificare il significato tecnico-giuridico di una disposizione attribuendole il significato ritenuto più adeguato per il raggiungimento di finalità pratiche ricavabili dal sistema,

in quanto la finalità di una norma va, proprio al contrario, individuata in esito all'esegesi del testo oggetto di esame e non già, o al più in via complementare, in funzione dalle finalità ispiratrici del più ampio complesso normativo in cui quel testo è inserito.

Il contrasto viene quindi composto rilevando come la nullità in questione appartenga all'ambito delle nullità testuali di cui all'art. 1418 co. 3 c.c. e debba ritenersi operativa nei casi e con i limiti disciplinati dalla disposizione legislativa che la commina.

Tale conclusione, osservano le Sezioni uniti, è coerente con le finalità di contrasto all'abusivismo edilizio, in quanto:

  • gli immobili realizzati in assenza di titolo sono comunque incommerciabili (la nullità, annota la Corte, è estesa anche agli atti che indicano un titolo edilizio mendace);
  • la menzione dei titoli edilizi pone l'acquirente in grado di appurare l'effettiva regolarità urbanistica dell'immobile;
  • opera in ogni caso la sanzione demolitoria in caso di abuso (art. 31 D.P.R. n. 380/2001), che ha natura reale ed opera sine die (cfr. Con. Stato, Ad. Plen. n. 9/2017), circostanza che dovrebbe incentivare l'acquirente a verificare in sede di acquisto la regolarità edilizia dell'immobile.

I principi di diritto

I principi di diritto esposti dalla sentenza n. 8230/2019 sono i seguenti:

La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell'ambito dell'art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità "testuale", con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell'immobile.
In presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.

Le conseguenze pratiche

Di notevole importanza sono le ricadute pratiche della decisione resa dalle Sezioni unite.

Affermare, come era affermazione delle sentenze che facevano propria la c.d. tesi sostanziale (oggi negata dall'intervento delle Sezioni unite), che gli atti aventi ad oggetto immobili abusivi fossero tout court affetti da nullità di carattere assoluto (ex multis Cass. civ. n. 23541/2017) significava:

  • che l'atto poteva essere annullato anche ad anni di distanza dalla sua stipulazione e travolgere anche gli atti successivi, dal momento che l'azione di nullità è imprescrittibile (art. 1422 c.c.), con la conseguenza che il compratore poteva trovarsi privato del titolo di proprietà con necessità di costituirsi un nuovo titolo (ad esempio proponendo un'azione di accertamento dell'usucapione del bene, ricorrendone i presupposti);
  • che la nullità dell'atto poteva essere invocata anche da un soggetto terzo che avesse un interesse (art. 1421 c.c.); nel caso approdato avanti le Sezioni unite, ad esempio, gli ignari proprietari di un immobile e il notaio rogante sono stati convenuti in giudizio dall'ex marito della parte venditrice che, rivendicando diritti sul fabbricato in sede di separazione personale, ha agito per la declaratoria di nullità dell'atto di trasferimento in ragione della non conformità urbanistica dell'immobile medesimo;
  • che la nullità poteva essere rilevata e dichiarata d'ufficio dal giudice (art. 1421 c.c.) anche in via incidentale, ossia nel corso di un giudizio che non verteva specificamente sulla validità dell'atto di acquisto dell'immobile e in cui poteva non essere parte il proprietario.

L'avere confinato la comminatoria della nullità ai casi di mancata menzione dei titoli edilizi nell'atto di acquisto significa che, in caso di rilevata difformità dell'immobile dal titolo, l'atto d'acquisto resta valido, salva ovviamente la possibilità per il solo acquirente di convenire in giudizio il venditore con azione di inadempimento contrattuale.

Azione soggetta a decadenza e prescrizione, al contrario del potere repressivo degli abusi edilizi riconosciuto all'Amministrazione.

Il rischio è quindi che l'abuso venga accertato e sanzionato dall'Amministrazione una volta che il proprietario ha ormai perso la possibilità di rivalersi nei confronti del suo venditore.

Circostanza che dovrebbe indurre, secondo quanto auspicato anche dalle Sezioni unite, ad una crescente attenzione circa l'effettiva conformità urbanistica dell'immobile da parte del compratore in sede di acquisto.

La sentenza 22 marzo 2019, n. 8239, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è disponibile sul sito del Ministero della Giustizia a questo indirizzo.

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