L'inchiesta Park Towers a Milano

5 marzo 2024

Il nodo dei confini della ristrutturazione edilizia e la necessità di uscire da un impasse che non giova a nessuno.

Per la delicatezza degli argomenti trattati questo articolo richiede una premessa: non è un articolo di dottrina, non è un editoriale di #PA, è più quello che il New York Times definisce "Opinion", ossia un contributo che rappresenta l’opinione di un individuo, non della testata che lo ospita. Fine della premessa.

 

  1. L'inchiesta Park Towers a Milano
  2. Ristrutturazioni edilizie e nuove costruzioni
  3. L'art. 41-quinques della Legge Urbanistica
  4. La demo-ricostruzione nella giurisprudenza amministrativa e penale
  5. L'obbligo di piano attuativo ex art. 41-quinques L.U. e il permesso di costruire convenzionato
  6. Uscire dall'impasse: la sostituzione edilizia.

Risorse aggiornate al 25 marzo 2024.


 

1. L'inchiesta Park Towers a Milano

Sono note le inchieste che la Procura della Repubblica di Milano sta conducendo sui complessi residenziali Hidden Garden, Torre Milano e Park Towers. In quest'ultimo caso i pubblici ministeri hanno iscritto nel registro degli indagati l’amministratore della società promotrice dell'intervento, il progettista, il legale rappresentante della società che ha eseguito i lavori e tre dirigenti comunali. L’inchiesta è la fotocopia di quella che prima di Natale ha coinvolto costruttori, funzionari e progettisti per la Torre Milano, grattacielo da 82 metri nel quartiere Maggiolina, e in parte ricalca il caso della palazzina di piazza Aspromonte, dell'operatore Hidden Garden.

Cosa contesta la Procura?

In buona sostanza, da un lato la qualificazione degli interventi come ristrutturazioni e non come nuove costruzioni, dall'altro la violazione della Legge Urbanistica là dove fissa in 25 metri l'altezza massima degli edifici realizzabili senza piano attuativo.

L'esito della prima contestazione è l'abusività della costruzione nella misura in cui priva di titolo idoneo, fermi i profili contabili legati al mancato incasso delle monetizzazioni delle aree a standard e al conseguente danno erariale. L'esito della seconda è la lottizzazione abusiva, il più grave tra i reati edilizi.

Ora, al di là di ogni valutazione circa la fondatezza delle contestazioni mosse dalla Procura, quando 140 tra funzionari e dirigenti di un Comune che nel 2022 ha incassato 200 milioni di euro per oneri di urbanizzazione - a testimonianza di una macchina amministrativa che ha presidiato la trasformazione urbana più importante in Italia degli ultimi 10 anni -, chiedono di essere assegnati ad altri uffici e il blocco di tutte le pratiche analoghe a quelle messe sotto inchiesta dalla Procura, si impone una riflessione che vada al di là del "chiedere chiarezza", non si sa bene a chi, come hanno fatto Comune, ordini e sindacati.

2. Ristrutturazioni edilizie e nuove costruzioni

Il primo corno della questione è rappresentato dalla contestazione relativa alla qualificazione degli interventi come ristrutturazioni e non come nuove costruzioni e al conseguente, illegittimo, ad avviso della Procura, ricorso alla Segnalazione certificata di inizio attività sostituiva di un permesso di costruire (S.C.I.A.), consentita dall'articolo 23 del Testo Unico dell'Edilizia unicamente per interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica disciplinati da piani attuativi o per interventi di nuova costruzione in diretta esecuzione delle previsioni contenute negli strumenti urbanistici generali.

In disparte la considerazione che il Piano delle Regole del P.G.T. di Milano è estremamente puntuale nel disciplinare gli interventi sulla base di disposizioni planivolumetriche e che le ipotesi di applicazione dell'atto unilaterale descritte nel Regolamento Edilizio rappresentano assunzione di obbligazioni del soggetto privato rispetto alle prescrizioni dello strumento urbanistico, sta di fatto che - come scrive la Procura - la classificazione degli interventi come ristrutturazioni porta con sé un indubbio vantaggio economico per l'operatore, lasciando a questi «l’indebita remuneratività» di poter accedere «in modo arbitrario» alla «impropria monetizzazione degli standards» secondo parametri inferiori ai valori di mercato.

Il tema della demo-ricostruzione - come vengono denominati gli interventi che portano alla integrale sostituzione di quanto preesistente - è noto in Lombardia per il contrasto tra le disposizioni regionali e quelle nazionali, contrasto composto nel 2019 quando le definizioni contenute nell'articolo 27 della l.r. n. 12 del 2005 sono state soppresse attraverso il rinvio tout court all'articolo 3 del d.P.R. 380/2001:

Art. 27. (Definizioni degli interventi edilizi)
1. Gli interventi edilizi sono definiti all'articolo 3 del d.p.r. 380/2001.

Sostiene la Procura che la demolizione di due fabbricati a destinazione produttiva e
terziaria, rispettivamente di uno e 
due piani fuori terra - a fronte della realizzazione di un complesso immobiliare composto da due torri residenziali di 81,70 e 59,22 metri per un totale di 113 appartamenti, 50 box e 50 posti auto - non rientra tra gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c) del d.P.R. 380/2001, per i quali l'articolo 23, comma 1, lettera a) del d.P.R. consente la S.C.I.A. in alternativa al permesso di costruire, poichè - come si legge nel decreto di rigetto di sequestro preventivo del 22 gennaio 2024 - "la ristrutturazione, per definizione, non può mai prescindere dalla finalità di recupero del singolo immobile che ne costituisce l'oggetto": impostazione cui, evidentemente, sono indifferenti le disposizioni del locale P.G.T. in materia.

3. L'art. 41-quinquies della L.U.

Il secondo corno della questione riguarda la (sostenuta) mancata applicazione dell'articolo 41-quinquies della L.U., il cui comma 6 dispone:

Nei Comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione, nelle zone in cui siano consentite costruzioni per volumi superiori a tre metri cubi per metro quadrato di area edificabile, ovvero siano consentite altezze superiori a metri 25 non possono essere realizzati edifici con volumi ed altezze superiori a detti limiti, se non previa approvazione di apposito piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata estesi alla intera zona e contenenti la disposizione planovolumetrica degli edifici previsti nella zona stessa.

La norma è frutto della novella contenuta nella L. 6 agosto 1967, n. 765, articolo 17, nota come Legge Ponte in quanto avrebbe dovuto costituire il collegamento tra il vecchio e il nuovo sistema urbanistico nazionale, come delineato dal Decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.

Tra i principi che guidavano la Legge Ponte c'era l'introduzione del piano di lottizzazione come strumento equiparabile al piano particolareggiato e il divieto di rilasciare licenze edilizie in assenza di urbanizzazioni.

Il comma 6 dell'articolo 41-quinquies della L.U. va letto in quest'ottica: assoggettare il pianificatore locale ad alcune, vincolanti, determinazioni del legislatore nazionale al fine "di assicurare che la costruzione di edifici eccedenti determinati limiti avvenga non già in modo disordinato e frammentario ma nel quadro di una razionale distribuzione di volumi" (Cons. Stato, Sez. V, 20.06.1980, n. 635; si veda anche la Circolare Ministero dei Lavori Pubblici 14 aprile 1969 n. 1501).

4. La demo-ricostruzione nella giurisprudenza amministrativa e penale

La nozione di ristrutturazione edilizia è contenuta nell’articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.

Il testo attuale della lettera d) è il risultato delle modifiche operate dall’articolo 10, comma 1, lettera b), della legge n. 120 del 2020, poi dall’articolo 28, comma 5-bis, lettera a), legge n. 34 del 2022, poi dall’articolo 14, comma 1-ter, legge n. 91 del 2022. 

La sostanza della discussione è tutta nell'incipit della lettera, che definisce la ristrutturazione edilizia come:

gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Al successivo articolo 10 è affidata la disciplina del momento provvedimentale, ossia quando  gli interventi debbono intendersi sottoposti a Permesso di Costruire.

Assodato che le modifiche apportate agli articoli 3 e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001 consentono di qualificare come interventi di ristrutturazione edilizia attività implicanti modifiche della volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti, la giurisprudenza amministrativa è, sia pure con sfumature diverse, ferma nel ritenere che occorre in qualche modo conservare una linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione.

In quest’ottica, l’indirizzo maggioritario è quello che ritiene si configuri la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all’organismo preesistente e alle sue caratteristiche fondamentali, mentre - nel caso in cui il manufatto sia totalmente trasformato, non solo con un apprezzabile aumento volumetrico, ma anche mediante un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria -, l’intervento deve essere considerato quale nuova costruzione.

Più rigide le decisioni secondo le quali il criterio distintivo è costituito, nel caso della ristrutturazione, dall’assenza di variazioni del volume, dell’altezza o della sagoma dell’edificio, così che in assenza di tali condizioni si deve parlare di intervento equiparabile alla nuova costruzione.

Tali criteri – si afferma replicando all’obiezione consistente nel richiamo alla possibilità di una ^diversa costruzione^ – hanno un ancóra maggiore pregio interpretativo a seguito dell’ampliamento della categoria della demolizione e ricostruzione operata dal d.lgs. n. 301 del 2002.

Ciò in quanto, proprio perché non vi è più il limite della ^fedele ricostruzione^, si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente nel senso che debbono essere presenti gli elementi fondamentali, in particolare per i volumi, per cui la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi (T.A.R. Palermo, sez. II, 18.08.2023, n. 2655).

Dal canto suo, la giurisprudenza penale è ferma nel ritenere che, nonostante l'ampliamento dei confini dell’istituto - in particolare con particolare riferimento agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché a quelli ubicati nelle zone omogenee A -  debba pur permanere la ratio qualificante l'intervento edilizio.

Postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, la ristrutturazione, per definizione, non può mai prescindere dalla finalità di recupero del singolo immobile che ne costituisce l'oggetto” (così, da ultimo, Cass. Penale, Sez. III, 06.10.2022 n. 1669), con quanto ne deriva in termini di assenza di un titolo idoneo qualora tale premessa sia ignorata.

5. L'obbligo di piano attuativo ex art. 41-quinques L.U. e il permesso di costruire convenzionato

La lettura dell'articolo 41-quinques non può andare disgiunta dall’evoluzione normativa in tema di permesso di costruire convenzionato di cui all'articolo 28-bis del d.P.R. n. 380/2001 equiparato al piano attuativo allorchè si operi in ambiti consolidati.

«Qualora le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalità semplificata» è infatti possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato
(comma 1) in luogo delle forme di pianificazione attuative di secondo livello, al cui momento convenzionale è affidato il compito di specificare «
gli obblighi, funzionali al soddisfacimento di un interesse pubblico, che il soggetto attuatore si assume ai fini di poter conseguire il rilascio del titolo edilizio, il quale resta la fonte di regolamento degli interessi» (comma 2).

L'istituto -  introdotto con l’articolo 17 del D.L. 133/2014 “Decreto Sblocca Italia” - costituisce il naturale approdo della giurisprudenza amministrativa in tema di lotti interclusi ricadenti in aree già urbanizzate, nelle quali l’Amministrazione Comunale è tenuta a disapplicare la previsione dello strumento urbanistico generale quando questo imponga, senza sufficienti ragioni giustificative, una pianificazione attuativa che nulla potrebbe aggiungere a fronte di un sufficiente grado di urbanizzazione (per tutti, da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. IV, 30.05.2023, n. 5293).

Giova ricordare che il permesso di costruire convezionato è stato ripreso e declinato nella l.r. 11 marzo 2005, n. 12, Legge per il governo del territorio, la quale:

  • attribuisce al Piano delle Regole il compito di definire le modalità di intervento sull’impianto urbano esistente, «anche mediante pianificazione attuativa o permesso di costruire convenzionato» (art. 10, c. 2);
  • specifica che l'attuazione degli interventi di trasformazione e sviluppo indicati nel documento di piano avviene attraverso i piani attuativi «con salvezza dell’utilizzo del permesso di costruire convenzionato nei casi previsti dalla legge» (art. 12, comma 1, come modificato dall’art. 26 della l.r. n. 15/2017); 
  • individua il permesso di costruire convenzionato come modalità ordinaria di attuazione delle previsioni stabilite a mezzo di piano attuativo conforme al PGT all’interno del tessuto urbano consolidato, non applicabile unicamente nel caso di lotti liberi e fatta salva la facoltà del proponente di procedere con piano attuativo (art. 14, c. 1-bis, come introdotto dall’art. 13, c. 1, l.r. n. 14/2016, poi modificato dall’art. 3, c. 1, lett. r, l.r. n. 18/2019); 
  • inserisce il permesso di costruire convenzionato tra le modalità operative attraverso le quali realizzare gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (art. 33, c. 1, lett. f, come sostituito dall’art. 5, c. 1, lett. e, l.r. n. 18/2019).

Tutto questo per dire che l’espressione “piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata” contenuta nell’art. 41-quinquies della L.U. deve essere letta alla luce dell'evoluzione normativa a partire dal 2014 tanto in sede nazionale che regionale, così che costruzioni per volumi superiori a tre metri cubi per metro quadrato di area edificabile, ovvero con altezze superiori a metri 25, sono assentibili tramite permesso di costruire convenzionato.

Convenzionamento che si ritiene possa consistere anche in un atto unilaterale d’obbligo, accordo “che integra il titolo edilizio ai sensi dell’art. 11, l. n. 241/1990, con gli stessi effetti della convenzione urbanistica” (T.A.R. Brescia, sez. II, 03.10.2022, n. 897; id. Milano, sez. II, 09.09.2022, n. 1985).

6. Uscire dall'impasse: la sostituzione edilizia.

Il sindacato del giudice penale sui titoli abilitativi edilizi nasce con la formulazione dell’articolo 17, lettera b), L. 10/1977, poi modificato nell’articolo 20, lettera b), L. 47/1985 e ora nell’articolo 44, lettera b), del d.P.R. 380/2001.

Non è questa la sede per ripercorrere i complessi confini dei poteri del giudice penale in tema di sindacato dell’atto amministrativo in materia edilizia (v., anche con riferimento ai titoli paesaggistici, R. Tumbiolo, 2013).

Se è vero che nel sindacare la legittimità di un atto il giudice penale può discostarsi dalla valutazione dell’amministrazione o da un eventuale giudizio amministrativo e che il rischio di un contrasto di pronunce sta nell’ordine delle cose perché il giudice penale ha compiti ed obiettivi diversi da quelli del suo omologo amministrativo (F. Prete, 2013), certo è che ciò che il giudice penale non può fare è modificare le categorie di riferimento, come prescindere dal confine tra esistenza e inesistenza dell’atto, ignorare la differenza tra nullità e annullabilità o introdurre nuove graduazioni della illegittimità (C. Cudia, 2023).

Se, per quanto illustrato, il problema è non tanto l'articolo 41-quinques L.U. quanto la nozione di ristrutturazione edilizia e i benefici economici che essa sconta rispetto alla nuova costruzione, forse è il caso di chiedersi se l'attuale definizione di ristrutturazione edilizia sia compatibile con il principio di coerenza complessiva del sistema alla quale l’individuo deve pur poter fare affidamento, soprattutto là dove è lo strumento urbanistico a dettagliare le modalità di intervento sul costruito.

Se la risposta fosse negativa forse è il caso di riproporre su scala nazionale il tentativo di Regione Lombardia quando, con la l.r. 18 aprile 2012, n. 7, introdusse, all'articolo 27 della l.r. n. 12/2005, l'istituto della sostituzione edilizia, definita come:

«[...] integrale sostituzione edilizia degli immobili esistenti, mediante demolizione e ricostruzione anche con diversa localizzazione nel lotto e con diversa sagoma, con mantenimento della medesima volumetria dell’immobile sostituito;».

La ragione della novella era data dalla presenza nei Piani Casa regionali della figura della sostituzione edilizia, ossia l'articolo 3 l.r. 13/2009 e l'articolo 4 l.r. 4/2012, disposizioni per entrambe le quali valeva la riflessione secondo cui - trattandosi di espressioni prive di riscontro all’interno della legislazione urbanistica - esse non avrebbero potuto che riferirsi a interventi tipologicamente inquadrabili all’interno della categoria della nuova costruzione.

Giusti i dubbi sulla possibilità per il legislatore regionale di modificare l'elenco dell'articolo 3 del T.U. dell'Edilizia, le cui definizioni «prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi», nel 2019 la norma venne definitivamente riscritta dall'articolo 5, comma 1, lettera b) della l.r. 26 novembre 2019, n. 18, inserendo il rinvio tout court all'articolo 3 del T.U..

Curiosamente, in Regione Lombardia la sostituzione permane tutt'ora essendo stata inserita tra le categorie affidate al Piano delle Regole a norma dell'articolo 10, comma 3, così che nel caso in cui il Piano di Governo del Territorio abbia provveduto in tal senso senza specificare il titolo edilizio o indicando un titolo che ad avviso della Procura non trova rispondenza nel T.U. dell'Edilizia, il principio di coerenza complessiva del sistema viene definitivamente minato.

L'intervento è urgente non fosse altro perchè altre regioni, come Toscana e Lazio, hanno espressamente disciplinato nelle proprie normative urbanistiche proprio la sostituzione edilizia e nel contempo è evidente che qualsiasi normativa eccezionale di rigenerazione urbana mira proprio alla sostituzione dell'esistente, azione di matrice pubblicistica nella misura in cui risponde alle politiche di contenimento del consumo di suolo.

Qui si tratta di riprendere il filo della sentenza 23 novembre 2019 n. 309 con cui, relatore Cassese, la Corte Costituzionale dichiarò l'illegittimità dell'articolo 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge regionale della Lombardia n. 12/2005 in punto ristrutturazione edilizia, giusto l'assunto secondo il quale:

"La linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi, [...] non può non essere dettata in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la cui «morfologia» identifica il paesaggio, considerato questo come «la rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli» (Relazione illustrativa della legge 11 giugno 1922, n. 778 «Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico», Atti parlamentari, Legislatura XXV, Senato del Regno, Tornata del 25 settembre 1920)."

Il pur apprezzabile tentativo dell'amministrazione milanese di approvare linee di indirizzo per gli uffici nell'esame delle pratiche edilizie riguardanti lavori in corso o già ultimati (del. G.C. n. 199 del 23 febbraio 2024), non sposta il nocciolo della questione, che non è tanto quello della corretta interpretazione del T.U. dell'Edilizia quanto della certezza del diritto.

Tutto ciò al netto di scenari distopici che nessuno vuole anche solo immaginare, come quello nel quale è il giudice penale a contestare la legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 nella misura in cui consente la realizzazione di  interventi tipologicamente rientranti nella nozione di nuova costruzione.

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