Limiti della sanatoria paesaggistica e efficacia delle circolari ministeriali
T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, 7 aprile 2023 n.184
Il T.A.R. L'Aquila ribadisce che il testo dell'articolo 167 del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) non è interpretabile se non nel senso che l'esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell'intervento e che suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica sono unicamente gli interventi elencati alle lettere a), b) e c) del comma 4.
4. L'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
La c.d. sanatoria paesaggistica
Chiamata ad interpretare il tenore letterale della norma, la giurisprudenza amministrativa ha declinato l'istituto della sanatoria paesaggistica (recte, accertamento di compatibilità paesaggistica) con riferimento a disparate fattispecie ritenute estranee al perimetro dell'articolo 167 del Codice: si veda T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 2 maggio 2022 n. 1471 (piscina), T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 9 luglio 2021 n. 4777 (fabbricati rurali), Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2020 n. 6300 (unità immobiliari tra cui era stata invocata la compensazione volumetrica), T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 16 marzo 2020 n. 227 (sopralzo del colmo di un fabbricato accompagnato dall'incassamento nel terreno di una parte dell'edificio), T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 5 agosto 2019 n.1821 (opere di sistemazione morfologica e ambientale di un tratto di sponda fluviale).
La scelta del legislatore di consentire l'autorizzazione paesaggistica postuma esclusivamente per i c.d. abusi minori è ritenuta in linea con i principi costituzionali della ragionevolezza e della parità di trattamento oltre che con quelli dell'ordinamento comunitario (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 1 luglio 2019, n.1523).
Non interessa, in questa sede, trattare il tema della sanatoria postuma di interventi realizzati anteriormente alla riscrittura dell'articolo 167 del D.Lgs. n. 42/2004, come operata dall'art. 27 del D.Lgs. n. 157/2006.
Il caso di specie
Il diniego impugnato si riferisce ad una domanda di sanatoria di un manufatto pertinenziale a servizio di una attività artigianale, in area soggetta a vincolo ex art. 142, c. 1, D.Lgs n. 42/2004, rigettata sulla scorta del rilievo che:
trattasi di intervento a sanatoria non riconducibile ai casi previsti dall'art. 167 del D.Lgs. n. 42/04 e dalla Circolare n. 33 del 26.6.2009 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in quanto la tipologia del manufatto non rientra nella definizione di volume tecnico così come individuato nella Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2427 del 31.01.1973.
La circolare MIBAC 26 giugno 2009
Mentre la Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2427 del 31 gennaio 1973 afferisce alla definizione di ^volume tecnico^, la circolare esplicativa n° 33 del 26 giugno 2009 del Segretariato Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha fornito chiarimenti in ordine ai termini "lavori", "superfici utili" e "volumi" utilizzati dal Legislatore al comma 4, lettera c) del citato articolo 167 al fine di assicurare una univoca definizione dei termini predetti che possa essere utilizzata sul territorio nazionale, in particolar modo al fine di "evitare che, in assenza di specifiche indicazioni, i Comuni facciano riferimento ai parametri urbanistici dei propri regolamenti edilizi, con inevitabili differenziazioni e senza alcuna univocità di comportamento".
Circolare di cui il ricorrente ha sostenuto che l'amministrazione resistente non avrebbe dovuto tener conto e di cui ha in ogni caso contestato la legittimità.
Questo è il punto.
Evidenzia infatti il TAR in motivazione che:
In disparte la considerazione che la predetta circolare, di cui se ne contesta la legittimità, non ha costituito oggetto di rituale impugnativa, deve osservarsi che correttamente l'Amministrazione si è attenuta alle indicazioni della circolare, atteso che la stessa costituisce un atto amministrativo interno destinato ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l'attività degli organi amministrativi a cui l'operato dell'amministrazione deve conformarsi essendo vincolante per i destinatari chiamati a darne applicazione.
Questa argomentazione affaccia due profili non eludibili.
Ossia che, ad avviso del TAR Abruzzo, la circolare MIBAC del 2009 è atto al quale gli organismi dello Stato chiamati ad esercitare le funzioni paesaggistiche sono tenuti ad uniformarsi, pena l'illegittimità degli atti assunti, e che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare, qualora avesse inteso denunciarne l'illegittimità.
Le natura delle circolari ministeriali
Giurisprudenza e dottrina hanno da tempo affrontato il tema della natura delle circolari ministeriali.
L’orientamento tradizionale qualifica le circolari come atti amministrativi autonomi rientranti nel novero degli atti c.d. interni, come tali destinati all’autoregolamentazione di organi ed uffici.
Altri ritengono che, pur non essendo fonti del diritto, le circolari siano parte della c.d. norme interne, categoria di atti con cui le amministrazioni regolamentano l’organizzazione dei propri organi ed uffici.
La giurisprudenza maggioritaria aderisce pacificamente alla prima tesi, affermando che le circolari amministrative "non hanno valore normativo o provvedimentale e non assumono carattere vincolante per i soggetti destinatari dei relativi atti applicativi" (Cons. Stato, Sez. III, 14 luglio 2022, n. 5986; id. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembe 2017, n. 5664).
Dal che consegue:
- da un lato che "i soggetti destinatari degli atti applicativi di esse non hanno l'onere di impugnare le circolari presupposte, ma possono limitarsi a contestarne la legittimità al mero fine di sostenere che sono illegittimi perché scaturiscono da una circolare illegittima" (Consiglio di Stato, Sez. II, 19/01/2022, n. 352; id. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 23 settembre 2021, n. 9883);
- dall'altro che "una circolare amministrativa contra legem può essere disapplicata anche d'ufficio dal giudice investito dell'impugnazione dell'atto che ne fa applicazione, anche in assenza di richiesta delle parti" (Cons. Stato, n. 5986/2022 cit.; id. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 23 settembre 2021, n. 9882; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 7 maggio 2021, n. 5369; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 17 febbraio 2020, n. 311).
Chiarissimo, in quest'ottica, Cons. Stato, Sez. VI, 2 marzo 2017, n. 986:
la circolare non è una fonte normativa, ma rappresenta soltanto l'opinione di una delle due parti del rapporto fra cittadino e amministrazione, e come tale ha valore soltanto se conforme alla legge. In altri termini, l'interpretazione di cui alla circolare o è legittima o non lo è, e non sussiste una terza possibilità; non si può invece sostenere che un dato provvedimento è legittimo o illegittimo perché conforme o difforme da una circolare.
In conclusione
Il T.A.R. L'Aquila ben avrebbe potuto rigettare il ricorso sulla scorta della piana considerazione che "poiché l’opera realizzata dal ricorrente non è riconducibile ad alcuna della fattispecie tassativamente previste dall'art. 167, commi 4 3 5 del D.Lgs. n. 42 del 2004 deve escludersi ope legis il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria a nulla rilevando la circostanza che nell’area ove è ubicato il manufatto siano presenti diverse attività artigianali ed industriali".
Introdurre le considerazioni di cui si è detto in ordine ad una possibile lesività della circolare MIBAC nei confronti del cittadino firmatario di un'istanza di sanatoria paesaggistica, affaccia profili in termini di onere di impugnazione della stessa, riverberantesi sullo stesso ricorso in termini di pregiudizialità.
Onere che la giurisprudenza da tempo consolidatasi in tema ha pacificamente escluso.